Pétrarque (1304-1374)
Recueil : Les Triomphes sur la vie et la mort de Madame Laure
Traductions, commentaires et numérotations de Francisque Reynard (1883)

Trionfo del Tempo  --  Triomphe du Temps


 

 

De l'aureo albergo co l'aurora inanzi
sì ratto usciva 'l sol cinto di raggi,
che detto avresti: - e' si corcò pur dianzi. -
Alzato un poco, come fanno i saggi
guardoss'intorno, et a se stesso disse:
- Che pensi ? omai convien che più cura aggi.
Ecco, s'un che famoso in terra visse,
de la sua fama per morir non esce,
che sarà de la legge che 'l Ciel fisse ?
E se fama mortal morendo cresce,
che spegner si devea in breve, veggio
nostra eccellenzia al fine; onde m'incresce.
Che più s'aspetta ? o che puote esser peggio ?
che più nel ciel ho io che 'n terra un uomo,
a cui esser egual per grazia cheggio ?
Quattro cavai con quanto studio como,
pasco nell'oceano e sprono e sferzo,
e pur la fama d'un mortal non domo !
Ingiuria da corruccio e non da scherzo,
avenir questo a me, s' i' fossi in cielo
non dirò primo, ma secondo, o terzo !
Or conven che s'accenda ogni mio zelo,
sì ch'al mio volo l'ira addoppi i vanni,
ch'io porto invidia agli uomini, e nol celo;
de' quali io veggio alcun dopo mille anni
e mille e mille, più chiari che 'n vita,
et io m'avanzo di perpetui affanni.
Tal son qual era anzi che stabilita
fusse la terra, dì e notte rotando
per la strada ritonda ch'è infinita. -
Poi che questo ebbe detto, disdegnando
riprese il corso più veloce assai
che falcon d'alto a sua preda volando:
più, dico; né pensier poria già mai
seguir suo volo, non che lingua o stile,
tal che con gran paura il rimirai.
Allor tenn'io il viver nostro a vile
per la mirabil sua velocitate
vie più che inanzi nol tenea gentile;
e parvemi terribil vanitate
fermare in cose il cor che 'l Tempo preme,
che, mentre più le stringi, son passate.
Però chi di suo stato cura o teme,
proveggia ben, mentr'è l'arbitrio intero,
fondare in loco stabile sua speme;
ché quant'io vidi il Tempo andar leggero
dopo la guida sua che mai non posa,
io nol dirò, perché poter non spero.
I' vidi il ghiaccio, e lì stesso la rosa,
quasi in un punto il gran freddo e 'l gran caldo,
che pur udendo par mirabil cosa.
Ma chi ben mira col giudizio saldo,
vedrà esser così; ché nol vid' io ?
di che contra me stesso or mi riscaldo.
Segui' già le speranze e 'l van desio;
or ho dinanzi agli occhi un chiaro specchio
ov'io veggio me stesso e 'l fallir mio;
e quanto posso al fine m'apparecchio,
pensando al breve viver mio, nel quale
stamani era un fanciullo et or son vecchio.
Che più d'un giorno è la vita mortale ?
Nubil'e brev' e freddo e pien di noia,
che pò bella parer ma nulla vale.
Qui l'umana speranza e qui la gioia,
qui' miseri mortali alzan la testa
e nessun sa quanto si viva o moia.
Veggio or la fuga del mio viver presta,
anzi di tutti, e nel fuggir del sole
la ruina del mondo manifesta.
Or vi riconfortate in vostre fole,
gioveni, e misurate il tempo largo!
Ma piaga antiveduta assai men dole.
Forse che 'ndarno mie parole spargo;
ma io v'annunzio che voi sete offesi
da un grave e mortifero letargo,
ché volan l'ore, e' giorni, e gli anni, e' mesi;
insieme, con brevissimo intervallo,
tutti avemo a cercar altri paesi.
Non fate contra 'l vero al core un callo,
come sete usi, anzi volgete gli occhi
mentre emendar si pote il vostro fallo;
non aspettate che la morte scocchi,
come fa la più parte, ché per certo
infinita è la schiera degli sciocchi.
Poi ch' i' ebbi veduto e veggio aperto
il volar e 'l fuggir del gran pianeta,
ond'io ho danni et inganni assai sofferto,
vidi una gente andarsen queta queta,
senza temer di Tempo o di sua rabbia,
ché gli avea in guardia istorico o poeta.
Di lor par che più d'altri invidia s'abbia,
che per se stessi son levati a volo
uscendo for della comune gabbia.
Contra costor colui che splende solo
s'apparecchiava con maggiore sforzo
e riprendeva un più spedito volo;
a' suoi corsier radoppiato era l'orzo;
e la reina di ch'io sopra dissi
d'alcun de' suoi già volea far divorzo.
Udi' dir, non so a chi, ma 'l detto scrissi:
- In questi umani, a dir proprio, ligustri,
di cieca oblivïon che 'scuri abissi!
Volgerà il sol non pure anni ma lustri
e secoli, vittor d'ogni cerebro,
e vedrà il vaneggiar di questi illustri.
Quanti fur chiari tra Peneo ed Ebro
che son venuti e verran tosto meno!
quanti sul Xanto e quanti in val di Tebro!
Un dubbio, iberno, instabile sereno,
è vostra fama, e poca nebbia il rompe;
e 'l gran tempo a' gran nomi è gran veneno.
Passan vostre grandezze e vostre pompe,
passan le signorie, passano i regni;
ogni cosa mortal Tempo interrompe,
e ritolta a' men buon, non dà a' più degni;
e non pur quel di fuori il Tempo solve,
ma le vostre eloquenzie e' vostri ingegni.
Così fuggendo il mondo seco volve,
né mai si posa né s'arresta o torna,
finché v'ha ricondotti in poca polve.
Or, perché umana gloria ha tante corna,
non è mirabil cosa s'a fiaccarle
alquanto oltra l'usanza si soggiorna;
ma quantunque si pensi il vulgo o parle,
se 'l viver vostro non fusse sì breve,
tosto vedresti in fumo ritornarle. -
Udito questo, perché al ver si deve
non contrastar ma dar perfetta fede,
vidi ogni nostra gloria al sol di neve;
e vidi il Tempo rimenar tal prede
de' nostri nomi, ch'io gli ebbi per nulla,
benché la gente ciò non sa né crede:
cieca, che sempre al vento si trastulla
e pur di false opinïon si pasce,
lodando più il morir vecchio che 'n culla.
Quanti son già felici morti in fasce!
Quanti miseri in ultima vecchiezza!
Alcun dice: - Beato chi non nasce. -
Ma per la turba a' grandi errori avezza
dopo la lunga età sia 'l nome chiaro:
che è questo però che sì s'apprezza ?
Tutto vince e ritoglie il Tempo avaro;
chiamasi Fama, et è morir secondo;
né più che contra 'l primo è alcun riparo.
Così 'l Tempo triunfa i nomi e 'l mondo.

 

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